Il calcio dell' Asino

Il calcio dell' Asino
Il calcio dell’Asino. Il calvario di un giornale ribelle (1892-1925) e del suo direttore Giovanni de Nava (Giva)

Sotto il cappello... pensieri scarmigliati

Sotto il cappello... pensieri scarmigliati

mercoledì 27 gennaio 2016

MIO PADRE E LA LIBERTA’

MIO PADRE E LA LIBERTA’

Non ho mai conosciuto mio padre, morto in guerra, l' ultima, quando avevo tre anni. La sua grande umanita', cultura, amore per la liberta' e la giustizia le ho conosciute soprattutto attraverso i racconti di mia madre. 
Quando penso a lui vedo mio padre, mentre mi fissa con i suoi occhi azzurri e mi dice che la liberta' va strappata dalle mani degli oppressori.
 
Un insegnamento che trasmetto ogni giorno ai miei figli e nipoti con il mio comportamento. Come dice Adorno nei ''Minima moralia'': non si da' vera vita nella falsa.
L’ idea di liberta’ mio padre me lo ha trasmesso pochi mesi prima di morire.
E’ l’ unico ricordo che ho di lui. Un ricordo mio, esclusivamente mio.
‘’Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente’’.
Dostojevskij: ‘’Memorie del sottosuolo’’.
Quando mi ha parlato di liberta’ a ogni costo, da strappare dalle mani degli oppressori, siamo io e lui da soli. Andiamo, la mia mano nella sua, da Serdiana, dove, in tempo di guerra, aveva trasferito la famiglia, a Dolianovaa, un altro centro del Parteolla, distante un paio di chilometri.
E’ marzo, non so se il giorno del mio compleanno. Ha avuto due giorni di licenza, ho poi saputo da mia madre quando dopo anni, molti, racconto l’ episodio. E’ di stanza a Cagliari, circa venti chilometri da Serdiana.
I miei ricordi dell’ ambiente della campagna sono piuttosto sfuocati. Diventano nitidi solo sulla sequenza della passeggiata e delle sue parole.
Camminiamo sul ciglio destro della strada. Sto alla sua destra per non correre pericoli, anche se il traffico e’ limitato a poche biciclette, a qualche carretto trainato dai cavalli, molte le persone a piedi, soprattutto donne e qualche ragazzo. Uno di questi ci passa accanto correndo.
Lui e’ in borghese, indossa un abito scuro, io un capottino chiaro con il colletto in velluto. Nella mia mente tutto e’ chiaro, soprattutto i suoi occhi di un intenso azzurro.
Camminiamo in silenzio. Mio padre mi stringe la mano. Il suo viso e’ sereno. Sono raggiante. Non passo molto tempo con lui. Quando la sera, non tutte le sere, lui torna a casa, io sono a letto e dormo, e la mattina, quando riparte, non sono ancora sveglio. Mia madre mi ha sempre raccontato che appena entrato in casa veniva nella mia camera, mi accarezzava sui capelli e mi dava un bacio sulla fronte. Rito che ripeteva quando andava via.
Arrivati all’ altezza del cimitero di Serdiana ci fermiamo, ci sediamo, uno a fianco all’ altro, su un poggiolo ricoperto d’ erba.
Comincia a parlare. Dice quanto bene vuole alla mamma, a me, agli altri due figli. Poi racconta delle brutture della guerra, della inutilita’ di un conflitto scatenato da un pazzo e assecondato da un altro stolto, solo per sete di potere, delle false speranze di vittoria decantate dal Duce, dal Re. Espone i suoi concetti di liberta’, fratellanza, di giustizia e pace tra i popoli. Parole allora non comprese. Troppo difficili per me. Sono pero’ rimaste incise nella mia mente, capite solo col crescere degli anni.
Siamo rimasti seduti forse una mezz’ ora, poi lentamente siamo tornati a casa.
Quella e’ l’ ultima volta che ho visto mio padre.Non ho altri ricordi di lui vivo.
Dopo alcuni mesi un ufficiale e’ venuto a casa per dare a mia madre la notizia che il marito era morto , il 13 maggio 1943, in un bombardamento di guerra, quella guerra da lui rifiutata, ritenuta inutile, dichiarata da un folle, appoggiata da uno stolto, solo per sete di conquista.


Questa poesia di Nazim Hikmet scritta nel 1955 sarebbe sicuramente piaciuta a mio padre 



Forse la mia ultima lettera a Mehmet (figlio)
Da una parte
gli aguzzini tra noi
ci separano come un muro.
D'altra parte
questo cuore sciagurato
mi ha fatto un brutto scherzo,
mio piccolo,
mio Mehmet
forse il destino
m'impedirà di rivederti.
Sarai un ragazzo, lo so,
simile alla spiga di grano
ero così quand'ero giovane
biondo, snello, alto di statura;
i tuoi occhi saranno vasti come quelli di tua madre,
con dentro talvolta uno strascico amaro
di tristezza,
la tua fronte sarà chiara infinitamente
avrai anche una bella voce,
- la mia era atroce -
le canzoni che canterai
spezzeranno i cuori.
Sarai un conversatore brillante
in questo ero maestro anch'io
quando la gente non m'irritava i nervi
dalle tue labbra colerà il miele.
ah Mehmet,
quanti cuori spezzerai!
e' difficile allevare un figlio senza padre
non dare pena a tua madre
gioia non gliene ho potuta dare
dagliene tu.
Tua madre
forte e dolce come la seta
tua madre
sarà bella anche all'età delle nonne
come il primo giorno che l'ho vista
quando aveva diciassette anni
sulla riva del bosforo
era il chiaro di luna
era il chiaro del giorno,
era simile a una susina dorata.
Tua madre
un giorno come al solito
ci siamo lasciati: a stasera!
Era per non vederci mai più.
Tua madre
nella sua bontà la più saggia delle madri
che viva cent'anni
che dio la benedica.
Non ho paura di morire, figlio mio;
però malgrado tutto
a volte quando lavoro
trasalisco di colpo
oppure nella solitudine del dormiveglia
contare i giorni e' difficile
non ci si può saziare del mondo
Mehmet
non ci si può saziare.
Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all'uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma innanzitutto ama l'uomo.
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell'animale infermo
ma innanzitutto la tristezza dell'uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l'ombra e il chiaro
ti diano gioia
ma che soprattutto l'uomo
ti dia gioia.
La nostra terra, la turchia
e' un bel paese
tra gli altri paesi
e i suoi uomini
quelli di buona lega
sono lavoratori
pensosi e coraggiosi
e atrocemente miserabili
si e' sofferto e si soffre ancora
ma la conclusione sarà splendida.
Tu, da noi, col tuo popolo
costruirai il futuro
lo vedrai coi tuoi occhi
lo toccherai con le tue mani.
Mehmet, forse morirò
lontano dalla mia lingua
lontano dalle mie canzoni
lontano dal mio sale e dal mio pane
con la nostalgia di tua madre e di te
del mio popolo dei miei compagni
ma non in esilio
non in terra straniera
morirò nel paese dei miei sogni
nella bianca città dei miei sogni più belli.
Mehmet, piccolo mio
ti affido
ai compagni turchi
me ne vado ma sono calmo
la vita che si disperde in me
si ritroverà in te
per lungo tempo
e nel mio popolo, per sempre.




sabato 9 gennaio 2016

ER TEMPO PERDUTO



ER TEMPO PERDUTO

Santa Marinella. Interno giorno in un ristorantino all' aperto in una piazzetta inondata di caldo sole.
Brano di conversazione da uno dei tanti tavoli.
-Meno male che oggi c'è sta er sole, ma fino all' artro giorno...
-E già. Non c'è stai a capì niente, er tempo nuné più quella d'una vorta 
-E già, dichi bau bau micio micio. T' aricordi vene? Er pomeriggio di venerdì passato? Oh vene... l'artro ieri
-M'aricordo, m'aricordo...
-Peresempio a Roma pioggia, pioggia, pioggia, ma sai che vordì pioggia? A Ladispoli, sempre vene, sole, sole, sole, ma sai che vordì sole?Oh gnente, da nun crederci. Sole, sole, sole. Sai che vordì sole?
-Er tempo nuné più quello d'una vorta
-C'è stanno poche certezze, ormai. E meno male che la cucina de Ninetto nun cambia mai.
-Già. Aoh, magnamo sti gnocchi allo scoglio che ce passa la malinconia der tempo perduto comebbe a dì Prost, che porello nun core più

venerdì 8 gennaio 2016

C’E’ TUTTO UN 2016



Manteniamo la calma. 
Non facciamoci trascinare dalle agitazioni dell’animo. Attrezziamoci per affrontare lo scompiglio delle parole. Quelle dette, quelle non dette, quelle pronunciate e  quelle non pronunciate, proferite in un discorso diretto, oppure indiretto, non proferite, quelle pensate, quelle pensate e pronunciate, quelle non pensate e non pronunciate, quelle non pensate e dette, quelle non pensate e non dette, quelle in equilibrio, quelle mendicate, quelle ǝʇloʌodɐɔ, quelle non capovolte, quelle immaginate, quelle raccontate e quelle non raccontate, quelle che ti dicono come stanno le cose, quelle che non ti dicono come stanno le cose, quelle a dir poco, come minimo, quelle a dir molto, come massimo. 
Semplificando, per riassumere, con chi sa capire non sono necessari lunghi discorsi, vale a dire, cioè in altri termini, in due parole, in breve, in parole povere restiamo simmetricamente difformi. 
L' Epifania tutte le feste ha portato via. Quelle del 2015.
Il 2015 se n’è andato e c’è tutto un 2016 intorno. 
Non sprechiamolo.

giovedì 7 gennaio 2016

PERFETTO

Una confezione di fette biscottate al farro e...
Perfetto!
...e una di cous cous sempre di farro e...
Perfetto!
... e succhi di frutta alla mela e alla carota.
Perfetto!
Quanto pago?
Perfetto, in tutto 15 euro, perfetto.
Consegno il mio bancomat. La titolare del negozio di prodotti biologici lo prende, lo osserva, lo soppesa e poi
Perfetto! Ho il pos fuori uso, la banca lo ha sostituito ma ancora non è attivo. Perfetto!
Tiro fuori 20 euro e pago.
Perfetto! Ecco il resto di cinque euro, perfetto.
Arrivederci.
Esco.
Perfetto. Arrivederci. Perfetto.
Mi piacciono, certe stranezze. Mi piacciono talmente tanto che a volte mi sento persino un po’ a disagio. Per dirne una, mi piacciono le persone che dicono Perfetto, in ogni occasione, a piè sospinto. Mi capita di incontrarne parecchie, di queste persone, al bar, al ristorante, nei negozi, per strada. Io quando sento una persona dire Perfetto, mi viene voglia di battere le mani. Mi viene voglia di dire fermiamoci, per favore, fermiamoci adesso, barman fermati, non fare il caffé, cameriere, cuoco, fermatevi, per strada in mezzo al traffico, fermiamoci e facciamo un bell’applauso al signore  là che ha detto Perfetto. Lo ha detto al cameriere che lo ha accompagnato  al suo tavolo, Perfetto; al barista che gli ha preparato il suo caffé, Perfetto; al negoziante che Perfetto ha il pos che non funziona e Perfetto accetta solo contanti, Perfetto; al suo amico, incontrato per strada che gli ha detto di essere stato licenziato e di avere pochi giorni di vita per un tumore, Perfetto Perfetto. 
Io penso che tutti capirebbero, applaudirebbero e a una voce direbbero Perfetto.